La mattina di lunedi’ 29 gennaio 2024 a Viterbo, presso il “Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera” si e’ svolto un incontro di studio su Hannah Arendt, nell’ambito delle iniziative di riflessione e di testimonianza collegate a Giorno della memoria.
In particolare si e’ riflettuto su due dei capolavori della grande pensatrice: “Le origini del totalitarismo” e “La banalita’ del male”.
Hannah Arendt e’ nata ad Hannover da famiglia ebraica nel 1906, fu allieva di Husserl, Heidegger e Jaspers; l’ascesa del nazismo la costringe all’esilio, dapprima e’ profuga in Francia, poi esule in America; e’ tra le massime pensatrici politiche del Novecento; docente, scrittrice, intervenne ripetutamente sulle questioni di attualita’ da un punto di vista rigorosamente libertario e in difesa dei diritti umani; mori’ a New York nel 1975.
Di seguito un breve estratto da “La banalita’ del male” e la segnalazione di alcune pubblicazioni di e su Hannah Arendt
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Hannah Arendt: La Resistenza nonviolenta in Danimarca (da Hannah Arendt, La banalita’ del male. Eichmann a Gerusalemme, Feltrinelli, Milano 1964, 1993, alle pp. 177-182)
La storia degli ebrei danesi e’ una storia sui generis, e il comportamento della popolazione e del governo danese non trova riscontro in nessun altro paese d’Europa, occupato o alleato dell’Asse o neutrale e indipendente che fosse. Su questa storia si dovrebbero tenere lezioni obbligatorie in tutte le universita’ ove vi sia una facolta’ di scienze politiche, per dare un’idea della potenza enorme della nonviolenza e della resistenza passiva, anche se l’avversario e’ violento e dispone di mezzi infinitamente superiori. Certo, anche altri paesi d’Europa difettavano di “comprensione per la questione ebraica”, e anzi si puo’ dire che la maggioranza dei paesi europei fossero contrari alle soluzioni “radicali” e “finali”. Come la Danimarca, anche la Svezia, l’Italia e la Bulgaria si rivelarono quasi immuni dall’antisemitismo, ma delle tre di queste nazioni che si trovavano sotto il tallone tedesco soltanto la danese oso’ esprimere apertamente cio’ che pensava. L’Italia e la Bulgaria sabotarono gli ordini della Germania e svolsero un complicato doppio gioco, salvando i loro ebrei con un tour de force d’ingegnosita’, ma non contestarono mai la politica antisemita in quanto tale. Era esattamente l’opposto di quello che fecero i danesi. Quando i tedeschi, con una certa cautela, li invitarono a introdurre il distintivo giallo, essi risposero che il re sarebbe stato il primo a portarlo, e i ministri danesi fecero presente che qualsiasi provvedimento antisemita avrebbe provocato le loro immediate dimissioni. Decisivo fu poi il fatto che i tedeschi non riuscirono nemmeno a imporre che si facesse una distinzione tra gli ebrei di origine danese (che erano circa seimilaquattrocento) e i millequattrocento ebrei di origine tedesca che erano riparati in Danimarca prima della guerra e che ora il governo del Reich aveva dichiarato apolidi. Il rifiuto opposto dai danesi dovette stupire enormemente i tedeschi, poiche’ ai loro occhi era quanto mai “illogico” che un governo proteggesse gente a cui pure aveva negato categoricamente la cittadinanza e anche il permesso di lavorare. (Dal punto di vista giuridico, prima della guerra la situazione dei profughi in Danimarca non era diversa da quella che c’era in Francia, con la sola differenza che la corruzione dilagante nella vita amministrativa della Terza Repubblica permetteva ad alcuni di farsi naturalizzare, grazie a mance o “aderenze”, e a molti di lavorare anche senza un permesso; la Danimarca invece, come la Svizzera, non era un paese pour se debrouiller). I danesi spiegarono ai capi tedeschi che siccome i profughi, in quanto apolidi, non erano piu’ cittadini tedeschi, i nazisti non potevano pretendere la loro consegna senza il consenso danese. Fu uno dei pochi casi in cui la condizione di apolide si rivelo’ un buon pretesto, anche se naturalmente non fu per il fatto in se’ di essere apolidi che gli ebrei si salvarono, ma perche’ il governo danese aveva deciso di difenderli. Cosi’ i nazisti non poterono compiere nessuno di quei passi preliminari che erano tanto importanti nella burocrazia dello sterminio, e le operazioni furono rinviate all’autunno del 1943.
Quello che accadde allora fu veramente stupefacente; per i tedeschi, in confronto a cio’ che avveniva in altri paesi d’Europa, fu un grande scompiglio. Nell’agosto del 1943 (quando ormai l’offensiva tedesca in Russia era fallita, l’Afrika Korps si era arreso in Tunisia e gli Alleati erano sbarcati in Italia) il governo svedese annullo’ l’accordo concluso con la Germania nel 1940, in base al quale le truppe tedesche avevano il diritto di attraversare la Svezia. A questo punto i danesi decisero di accelerare un po’ le cose: nei cantieri della Danimarca ci furono sommosse, gli operai si rifiutarono di riparare le navi tedesche e scesero in sciopero. Il comandante militare tedesco proclamo’ lo stato d’emergenza e impose la legge marziale, e Himmler penso’ che fosse il momento buono per affrontare il problema ebraico, la cui “soluzione” si era fatta attendere fin troppo. Ma un fatto che Himmler trascuro’ fu che (a parte la resistenza danese) i capi tedeschi che ormai da anni vivevano in Danimarca non erano piu’ quelli di un tempo. Non solo il generale von Hannecken, il comandante militare, si rifiuto’ di mettere truppe a disposizione del dott. Werner Best, plenipotenziario del Reich; ma anche le unita’ speciali delle SS (gli Einsatzkommandos) che lavoravano in Danimarca trovarono molto da ridire sui “provvedimenti ordinati dagli uffici centrali”, come disse Best nella deposizione che rese poi a Norimberga. E lo stesso Best, che veniva dalla Gestapo ed era stato consigliere di Heydrich e aveva scritto un famoso libro sulla polizia e aveva lavorato per il governo militare di Parigi con piena soddisfazione dei suoi superiori, non era piu’ una persona fidata, anche se non e’ certo che a Berlino se ne rendessero perfettamente conto. Comunque, fin dall’inizio era chiaro che le cose non sarebbero andate bene, e l’ufficio di Eichmann mando’ allora in Danimarca uno dei suoi uomini migliori, Rolf Guenther, che sicuramente nessuno poteva accusare di non avere la necessaria “durezza”. Ma Guenther non fece nessuna impressione ai suoi colleghi di Copenhagen, e von Hannecken si rifiuto’ addirittura di emanare un decreto che imponesse a tutti gli ebrei di presentarsi per essere mandati a lavorare.
Best ando’ a Berlino e ottenne la promessa che tutti gli ebrei danesi sarebbero stati inviati a Theresienstadt, a qualunque categoria appartenessero – una concessione molto importante, dal punto di vista dei nazisti. Come data del loro arresto e della loro immediata deportazione (le navi erano gia’ pronte nei porti) fu fissata la notte del primo ottobre, e non potendosi fare affidamento ne’ sui danesi ne’ sugli ebrei ne’ sulle truppe tedesche di stanza in Danimarca, arrivarono dalla Germania unita’ della polizia tedesca, per effettuare una perquisizione casa per casa. Ma all’ultimo momento Best proibi’ a queste unita’ di entrare negli alloggi, perche’ c’era il rischio che la polizia danese intervenisse e, se la popolazione danese si fosse scatenata, era probabile che i tedeschi avessero la peggio. Cosi’ poterono essere catturati soltanto quegli ebrei che aprivano volontariamente la porta. I tedeschi trovarono esattamente 477 persone (su piu’ di 7.800) in casa e disposte a lasciarli entrare. Pochi giorni prima della data fatale un agente marittimo tedesco, certo Georg F. Duckwitz, probabilmente istruito dallo stesso Best, aveva rivelato tutto il piano al governo danese, che a sua volta si era affrettato a informare i capi della comunita’ ebraica. E questi, all’opposto dei capi ebraici di altri paesi, avevano comunicato apertamente la notizia ai fedeli, nelle sinagoghe, in occasione delle funzioni religiose del capodanno ebraico. Gli ebrei ebbero appena il tempo di lasciare le loro case e di nascondersi, cosa che fu molto facile perche’, come si espresse la sentenza, “tutto il popolo danese, dal re al piu’ umile cittadino”, era pronto a ospitarli.
Probabilmente sarebbero dovuti rimanere nascosti per tutta la durata della guerra se la Danimarca non avesse avuto la fortuna di essere vicina alla Svezia. Si ritenne opportuno trasportare tutti gli ebrei in Svezia, e cosi’ si fece con l’aiuto della flotta da pesca danese. Le spese di trasporto per i non abbienti (circa cento dollari a persona) furono pagate in gran parte da ricchi cittadini danesi, e questa fu forse la cosa piu’ stupefacente di tutte, perche’ negli altri paesi gli ebrei pagavano da se’ le spese della propria deportazione, gli ebrei ricchi spendevano tesori per comprarsi permessi di uscita (in Olanda, Slovacchia e piu’ tardi Ungheria), o corrompendo le autorita’ locali o trattando “legalmente” con le SS, le quali accettavano soltanto valuta pregiata e, per esempio in Olanda, volevano dai cinquemila ai diecimila dollari per persona. Anche dove la popolazione simpatizzava per loro e cercava sinceramente di aiutarli, gli ebrei dovevano pagare se volevano andar via, e quindi le possibilita’ di fuggire, per i poveri, erano nulle.
Occorse quasi tutto ottobre per traghettare gli ebrei attraverso le cinque-quindici miglia di mare che separano la Danimarca dalla Svezia. Gli svedesi accolsero 5.919 profughi, di cui almeno 1.000 erano di origine tedesca, 1.310 erano mezzi ebrei e 686 erano non ebrei sposati ad ebrei. (Quasi la meta’ degli ebrei di origine danese rimase invece in Danimarca, e si salvo’ tenendosi nascosta). Gli ebrei non danesi si trovarono bene come non mai, giacche’ tutti ottennero il permesso di lavorare. Le poche centinaia di persone che la polizia tedesca era riuscita ad arrestare furono trasportate a Theresienstadt: erano persone anziane o povere, che o non erano state avvertite in tempo o non avevano capito la gravita’ della situazione. Nel ghetto godettero di privilegi come nessun altro gruppo, grazie all’incessante campagna che in Danimarca fecero su di loro le autorita’ e privati cittadini. Ne perirono quarantotto, una percentuale non molto alta, se si pensa alla loro eta’ media. Quando tutto fu finito, Eichmann si senti’ in dovere di riconoscere che “per varie ragioni” l’azione contro gli ebrei danesi era stata un “fallimento”; invece quel singolare individuo che era il dott. Best dichiaro’: “Obiettivo dell’operazione non era arrestare un gran numero di ebrei, ma ripulire la Danimarca dagli ebrei: ed ora questo obiettivo e’ stato raggiunto”.
L’aspetto politicamente e psicologicamente piu’ interessante di tutta questa vicenda e’ forse costituito dal comportamento delle autorita’ tedesche insediate in Danimarca, dal loro evidente sabotaggio degli ordini che giungevano da Berlino. A quel che si sa, fu questa l’unica volta che i nazisti incontrarono una resistenza aperta, e il risultato fu a quanto pare che quelli di loro che vi si trovarono coinvolti cambiarono mentalita’. Non vedevano piu’ lo sterminio di un intero popolo come una cosa ovvia. Avevano urtato in una resistenza basata su saldi principi, e la loro “durezza” si era sciolta come ghiaccio al sole permettendo il riaffiorare, sia pur timido, di un po’ di vero coraggio. Del resto, che l’ideale della “durezza”, eccezion fatta forse per qualche bruto, fosse soltanto un mito creato apposta per autoingannarsi, un mito che nascondeva uno sfrenato desiderio di irreggimentarsi a qualunque prezzo, lo si vide chiaramente al processo di Norimberga, dove gli imputati si accusarono e si tradirono a vicenda giurando e spergiurando di essere sempre stati “contrari” o sostenendo, come fece piu’ tardi anche Eichmann, che i loro superiori avevano abusato delle loro migliori qualita’. (A Gerusalemme Eichmann accuso’ “quelli al potere” di avere abusato della sua “obbedienza”: “il suddito di un governo buono e’ fortunato, il suddito di un governo cattivo e’ sfortunato: io non ho avuto fortuna”). Ora avevano perduto l’altezzosita’ d’un tempo, e benche’ i piu’ di loro dovessero ben sapere che non sarebbero sfuggiti alla condanna, nessuno ebbe il fegato di difendere l’ideologia nazista.
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Alcune pubblicazioni di e su Hannah Arendt
– Hannah Arendt, Il concetto d’amore in Agostino, Se, Milano 1992, pp. 168.
– Hannah Arendt, La banalita’ del male. Eichmann a Gerusalemme, Feltrinelli, Milano 1964, 1993, pp. 318.
– Hannah Arendt, La vita della mente, Il Mulino, Bologna 1987, 1993, pp. 630.
– Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo, Comunita’, Milano 1967, 1999, Einaudi, Torino 2004, Mondadori, Milano 2010, pp. LXXXIV + 710.
– Hannah Arendt, Rahel Varnhagen, Il Saggiatore, Milano 1988, 2004, pp. XLVI + 292 (+ un inserto fotografico di 16 pp.).
– Hannah Arendt, Sulla rivoluzione, Comunita’, Milano 1983, 1996, pp. LXXVIII + 342.
– Hannah Arendt, Tra passato e futuro, Garzanti, Milano 1991, pp. 312.
– Hannah Arendt, Vita Activa. La condizione umana, Bompiani, Milano 1964, 1994, pp. XXXIV + 286.
– Hannah Arendt, Antologia, Feltrinelli, Milano 2006, pp. XXXVIII + 246.
– Hannah Arendt, Il pensiero secondo. Pagine scelte, Rcs, Milano 1999, pp. II + 238.
– Hannah Arendt, Archivio Arendt. 1. 1930-1948, Feltrinelli, Milano 2001, pp. 272.
– Hannah Arendt, Archivio Arendt 2. 1950-1954, Feltrinelli, Milano 2003, pp. XXVI + 230.
– Hannah Arendt, Alcune questioni di filosofia morale, trad. it., Einaudi, Torino 2003, pp. X + 116.
– Hannah Arendt, Che cos’e’ la politica, Comunita’, Milano 1995, 1997, Einaudi, Torino 2001, 2006, pp. XIV + 194.
– Hannah Arendt, Disobbedienza civile, Chiarelettere, Milano 2017, 2019, pp. XXIV + 72.
– Hannah Arendt, Ebraismo e modernita’, Unicopli, Milano 1986, Feltrinelli, Milano 1993, pp. 232.
– Hannah Arendt, Humanitas mundi. Scritti su Karl Jaspers, Mimesis, Milano-Udine 2015, pp. 102.
– Hannah Arendt, Il futuro alle spalle, Il Mulino, Bologna 1981, 1995, pp. X + 166.
– Hannah Arendt, Illuminismo e questione ebraica, Cronopio, Napoli 2009, pp. 48.
– Hannah Arendt, Il pescatore di perle. Walter Benjamin 1892-1940, Mondadori, Milano 1993, pp. VI + 106.
– Hannah Arendt, Il razzismo prima del razzismo, Castelvecchi, Roma 2018, pp. 80.
– Hannah Arendt, La lingua materna, Mimesis, Milano-Udine 1993, 2005, 2019, pp. 114.
– Hannah Arendt, La menzogna in politica, Marietti 1820, Bologna 2006, 2018, 2019, pp. XXXVIII + 88.
– Hannah Arendt, L’ebreo come paria. Una tradizione nascosta, Giuntina, Firenze 2017, pp. 68.
– Hannah Arendt, L’umanita’ in tempi bui, Cortina, Milano 2006, 2019, pp. 90.
– Hannah Arendt, Marx e la tradizione del pensiero politico occidentale, Raffaello Cortina Editore, Milano 2016, pp. 168.
– Hannah Arendt, Per un’etica della repsonsabilita’. Lezioni di teoria politica, Mimesis, Milano-Udine 2017, pp. 152.
– Hannah Arendt, Politica ebraica, Cronopio, Napoli 2013, pp. 312.
– Hannah Arendt, Politica e menzogna, Sugarco, Milano 1985, pp. 288.
– Hannah Arendt, Responsabilita’ e giudizio, Einaudi, Torino 2004, pp. XXXII + 238.
– Hannah Arendt, Ritorno in Germania, Donzelli, Roma 1996, pp. 64.
– Hannah Arendt, Rosa Luxemburg, Mimesis, Milano-Udine 2022, pp. 138.
– Hannah Arendt, Socrate, Raffaello Cortina Editore, Milano 2015, pp. 126.
– Hannah Arendt, Sulla violenza, Guanda, Parma 1996, pp. 96.
– Hannah Arendt, Verita’ e politica, Bollati Boringhieri, Torino 1995, pp. 98.
– Hannah Arendt, Verita’ e umanita’, Mimesis, Milano-Udine 2014, pp. 76.
– Hannah Arendt, Quaderni e diari, Neri Pozza, 2007, pp. 656.
– Hannah Arendt – Karl Jaspers, Carteggio 1926-1969. Filosofia e politica, Feltrinelli, Milano 1989, pp. XXIV + 248.
– Hannah Arendt – Mary McCarthy, Tra amiche. La corrispondenza di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975, Sellerio, Palermo 1999, pp. 720.
– Hannah Arendt – Kurt Blumenfeld, Carteggio 1933-1963, Ombre corte, Verona 2015, pp. 280.
– Hannah Arendt – Martin Heidegger, Lettere 1925-1975, Einaudi, Torino 2000, 2007, pp. VI + 320 (+ un inserto fotografico di 16 pp.).
– Hannah Arendt – Joachim Fest, Eichmann o la banalita’ del male. Interviste, lettere, documenti, Giuntina, Firenze 2013, 2014, pp. 222.
– Hannah Arendt – Walter Benjamin, L’angelo della storia. Testi, lettere, documenti, Giuntina, Firenze 2017, 2018, pp. 270.
– Hannah Arendt – Guenther Anders, Scrivimi qualcosa di te. Lettere e documenti, Carocci, Roma 2017, pp. XII + 194.
– Hannah Arendt, L’amicizia e la Shoah. Corrispondenza con Leni Yahil, Edb, Bologna 2017, pp. 112.
– Hannah Arendt, Guenther Stern-Anders, Le Elegie duinesi di R. M. Rilke, Asterios, Trieste 2014, 2019, pp. 80.
– AA. VV., Hannah Arendt e la questione sociale, a cura di Ilaria Possenti, volume monografico di “aut aut”, n. 386, giugno 2020, Il Saggiatore, Milano 2020.
– Guenther Anders, La battaglia delle ciliege, Donzelli, Roma 2015.
– Laura Boella, Hannah Arendt. Agire politicamente. Pensare politicamente, Feltrinelli, Milano 1995.
– Laura Boella, Hannah Arendt. Un umanesimo difficile, Feltrinelli, Milano 2020.
– Adriana Cavarero, Arendt e la banalita’ del male, Gedi, Roma 2019.
– Roberto Esposito, L’origine della politica: Hannah Arendt o Simone Weil?, Donzelli, Roma 1996.
– Elzbieta Ettinger, Hannah Arendt e Martin Heidegger. Una storia d’amore, Garzanti, Milano 2000.
– Paolo Flores d’Arcais, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 1995.
– Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt, Milano 1999.
– Augusto Illuminati, Esercizi politici: quattro sguardi su Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma 1994.
– Friedrich G. Friedmann, Hannah Arendt, Giuntina, Firenze 2001.
– Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, Dtv, Muenchen 2000.
– Olivia Guaraldo, Arendt, Rcs, Milano 2014.
– Wolfgang Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt, Reinbek bei Hamburg 1987, 1999.
– Julia Kristeva, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 2005.
– Luca Mori, Hanna Arendt. Filosofia e politica dopo Auschwitz, Carocci, Roma 2023.
– Ana Nuno, Hannah Arendt, Rba, Milano 2019.
– Alois Prinz, Io, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 1999, 2009.
– Paul Ricoeur, Hannah Arendt, Morcelliana, Brescia 2017.
– Cristina Sanchez, Arendt. La politica in tempi bui, Hachette, Milano 2015.
– Agustin Serrano de Haro, Hannah Arendt, Rba, Milano 2018.
– Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt, Bollati Boringhieri, Torino 1994.
Il “Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera” di Viterbo