Erano i primi giorni di febbraio dello scorso anno quando un vero e proprio commando, con una certosina organizzazione para-militare, aveva preso d’assalto il bancomat della filiale Credit Agricole della piccola frazione di Viterbo facendolo saltare con l’esplosivo e rubando un ingente quantitativo di denaro contante che era stato caricato all’interno del dispositivo in previsione del fine settimana.
L’azione era stata preceduta da tutta un’altra serie di furti di veicoli e targhe, da utilizzare nel colpo in danno dell’istituto bancario, messi a segno dai criminali in danno di un’azienda di un vicino comune e di alcuni cittadini residenti nelle vicinanze del luogo del delitto.
I ladri, esperti nel settore, avevano adoperato la cosiddetta tecnica della marmotta, un ordigno artigianale costituito da una lastra di ferro con fissato un congegno esplosivo che viene infilato a forza nella fenditura destinata all’emissione delle banconote; una volta dentro, l’esplosivo viene fatto detonare, sventrando il bancomat e danneggiando anche gli altri arredi e le mura dell’edificio così da facilitare l’accesso che viene assicurato dall’impiego di un veicolo come ariete.
Ed è proprio con questo modus operandi che hanno agito in quella notte i bombaroli. Le indagini, subito avviate dal Nucleo Investigativo sotto il sapiente coordinamento della Procura di Viterbo e fondate anche su accertamenti di natura scientifica di elevata valenza tecnica, hanno portato a ricostruire l’articolata dinamica del colpo e, alla fine, all’identificazione di un 34enne, di nazionalità albanese ma residente in un comune a nord della capitale, che aveva materialmente piazzato l’esplosivo, già conosciuto alla giustizia.
I criminali erano giunti dalla capitale nella tarda serata, sempre su veicoli sporchi, ovvero oggetto di furto, raggiungendo la sede di una ditta in un comune limitrofo dove avevano rubato alcune targhe d’auto, applicate sull’auto rubata per raggiungere indisturbati la banca, e delle batterie asportate da un mezzo pesante, utilizzate per l’innesco del congegno esplosivo. Sul luogo del reato, avevano poi generato il panico bloccando letteralmente le vie d’accesso all’area, rubando un’altra auto utilizzata come ariete per terminare lo sfondamento della vetrina dopo l’esplosione arrivando a minacciare, addirittura, alcuni ragazzi che, nelle prime fasi preparatorie al colpo, passavano lì di rientro verso le proprie case e che, impauriti, sono subito scappati via.
L’esplosione è stata tremenda tanto da essere avvertita in tutta la frazione di Grotte Santo Stefano ed ha lasciato poco di integro all’interno dell’istituto bancario. Giusto il tempo di recuperare il denaro, una refurtiva di oltre 10 mila euro, e la squadra criminale è fuggita verso la capitale dove, qualche giorno dopo, era stata ritrovata l’auto della fuga, bruciata.
Nelle prime ore di oggi, l’uomo è stato rintracciato dai militari del Nucleo Investigativo collaborati dalla Compagnia di Tivoli ed è stato condotto in carcere su disposizione del GIP di Viterbo che ha accolto la richiesta avanzata dalla Procura di Viterbo.
Il presente comunicato viene condiviso con la Procura della Repubblica di Viterbo e trasmesso per interesse pubblico
PRESUNZIONE DI INNOCENZA
Il soggetto indagato è persona nei cui confronti vengono fatte indagini durante lo svolgimento dell’azione penale; nel sistema penale italiano la presunzione di innocenza, art 27 Costituzione, è tale fino al terzo grado di giudizio e la persona indagata non è considerata colpevole fino alla condanna definitiva.