Strano destino, davvero, quello della coppia concettuale destra sinistra, sin dal loro primo apparire sul palcoscenico della storia, apparizione tra l’altro fortuita, ne è stata contestata la validità, l’attualità, il significato. Da quando la politica si è fatta di massa questa coppia di termini costituisce il riferimento più usato ed abusato con cui ci riferiamo a questo universo. Eppure se chiedete all’uomo qualunque che cosa sono, cosa rappresentano, questi concetti vi borbotterà che non c’è differenza fra destra e sinistra, ‘tanto sono tutti uguali’. Se chiedete al politico vi dirà che destra e sinistra sono ormai categorie superate, un residuo del novecento e noi abbiamo la necessità di guardare oltre, di andare avanti.
Se proverete ad interrogare gli accademici, molti tra i filosofi e storici politici vi diranno che non c’è nessun criterio che riesca ad unificare quello che si fa passare o si è fatto passare per destra o per sinistra, tra i politologi in senso stretto molti affermeranno che destra e sinistra sono etichette vuote prive di un reale contenuto. Eppure a quello stesso uomo qualunque magari più tardi scapperà detto che lui i magistrati non li sopporta perché sono tutti di sinistra; il politico arringherà la folla dicendo “Noi di destra…”, il giornalista titolerà “Le sinistre attaccano il governo”, anche agli stessi dotti professori a volte non potranno fare a meno di usare i due termini in un loro qualche saggio per rapportarsi alla realtà politica. Chi le denigra in fondo non ha tutti i torti. E’ vero, destra e sinistra ci appaiono, appena ci fermiamo a ragionarci sopra un attimo, come dei riferimenti incerti, traballanti, che sembrano non essere mai pienamente adeguati ai tempi ed alle circostanze, che sembrano dire troppo e troppo poco allo stesso tempo. Ragionare attraverso questa dicotomia costituisce una semplificazione quasi inaccettabile della complessità dei fenomeni politici. Ma proprio per questo, forse, non ne possiamo fare a meno. Quanto accaduto questa mattina a Palazzo dei Priori durante il consiglio comunale, racchiude l’esegesi di quanto affermato poc’anzi; infatti nell’incedere delle argomentazioni inerenti la querelle “asili nido”, abbiamo assistito al più triste e patetico teatrino del “non detto” eppure c’erano svariati punti su cui argomentare tesi, strutturare piani d’intervento o pianificare correttivi, invece niente o meglio solo una sequela di concetti raffazzonati senza una linea logica strutturata che desse valore all’impianto espositivo. Un assessore alle politiche sociali, ai secoli Patrizia Notaristefano, in balia della situazione, divenuta troppo grande ed incidente per essere gestita con le sue sole forze.
Un parterre di maggioranza rimasto ammutolito ed attonito d’innanzi alla pochezza concettuale del proprio assessore, un sindaco che illuminato da un momento di splendente obiettività si alza e abbandona il proscenio e di contro lo sguardo, eufemisticamente meravigliato, di un’opposizione frastornata da cotanta e palese incompetenza manifesta E come se non bastasse una tale fragorosa caduta di stile, aggiungiamoci il silenzioso operato della IV commissione della consigliera Melania Perazzini che è riuscita nell’arguto compito di rendere possibile questa machiavellica esposizione di poesia ermetica che ci obbliga ad una preoccupante disamina su un fondamentale aspetto psicologico e sociale. La pletorica attenzione data al tema del “delirio” è dovuta in gran parte al fascino, sempre suscitato, dell’allegoria della follia. Le varie ricerche epistemologiche fatte su questa manifestazione iconica della psicosi sono un esempio metonimico dalla diversità concettuale, infatti la nozione di delirio, carica di eterogeneità e sviste concettuali, tenta di classificare sostanzialmente esperienze diverse. Aldilà di queste varietà, si è sempre supposto che una forma è classica mente considerata come vera anche quando la presenza di manifestazioni residue sono solo simili superficialmente a questa.
Questa primaria esperienza sui generis e immediata presuppone la completa modificazione della personalità, caratteristica tipica della patologia schizofrenica, nel senso stretto della parola, che ci riporta in maniera incontrovertibile a quanto visto e ascoltato nella mattinata odierna. Ora nella concreta speranza che il delirio sia solo una parentesi momentanea e che si riesca quanto prima a riaccendere la luce del pensiero primario nelle menti di coloro che amministrano questa città noi crediamo siano sintomatiche oltreché auspicabili le dimissioni di queste cariche palesemente incompetenti magari supportate da una spiegazione plausibile del primo cittadino, che in campagna elettorale sbandierava ai quattro venti le sue ferme ed incrollabili intenzioni di riscrivere la storia politica di Viterbo, svecchiando e ripulendo ogni anfratto delle segrete stanze dei bottoni, bandendo il nepotismo più avvezzo al sistema i favore di una meritocrazia più laica ma funzionale.
Solo che alla luce dei fatti tutto questo e ben lungi dal palesarsi……e i Viterbesi sono gli unici a rimetterci, come tutte quelle famiglie che ancora oggi non trovano risposte chiare e certe su un argomento delicato e stringente come la gestione e la possibilità di iscrizione agli asili nido per i quali non abbiamo ancora capito cosa fare o come intervenire, ed a nulla servono sit-in, comizi, raccolte firme e articoli vari sul tema se prima non riordiniamo la classe dirigente con persone realmente capaci e volitive, il cui unico pensiero non deve essere la soddisfazione del salario accomandante o della posizione di prestigio che invece continua ad essere l’unico tratto dominante di una classe politica inadeguata ed avvilente.
Associazione La Tuscia nel Cuore